30.08A. P.  mi scrive:

 - ISTRUTTORE,  un alleato di famiglia, per la scuola.

Nel ’79 ho conseguito l’abilitazione di “Preparatore Giovanile della F.I.G.C.”, nella sede di Modena, allora militavo ancora nella squadra di calcio del Modena F.C.   Nell’81 al termine della mia carriera calcistica, ho cercato di valorizzare il mio “diploma” avvicinandomi a quel settore giovanile calcistico per il quale nutro profondo interesse.    Le esperienze vissute non hanno destato in me, dopo oltre 20 anni di “allontanamento forzato”dai campi di calcio, l’interesse su quel vecchio progetto che dal cassetto si vuole tirare fuori a seguito di condizioni e  presupposti nuovi e validi, oggi presenti in una realtà  serena, semplice e onesta.    Un allenatore, coscienzioso sa che i genitori, affidandogli i loro figli, gli affidano una parte del  futuro dei loro ragazzi. Ma non a tutti gli allenatori è chiara la grande responsabilità educativa che si assumono. Ci sono allenatori improvvisati, animati da tanta buona volontà ma che ritengono, in buona fede, che il loro unico compito sia di dare le nozioni di base.    Ci sono anche coloro che credono che il loro compito si limiti ad insegnare la perfezione del gesto tecnico, ci sono infine, ed è una razza nuova in via di diffusione (credo e spero), allenatori di impianti privati, i "palestrari" per i quali i ragazzi sono solo clienti, e ce ne sono, che non hanno alle spalle alcuna primaria società sportiva ed i ragazzi  rappresentano un processo educativo da concretizzarsi, sembra quasi che lo sport educhi per definizione, per virtù intrinseca.   E’ una grande bugia: senza una guida educativa, quei ragazzini magari finiscono per imparare ad  odiare o invidiare l’avversario, o utilizzare strumenti come la furberia e la slealtà pur di raggiungere il successo.    Per tutti questi motivi il Centro Sportivo (C.A.S.) lo ritengo un mezzo efficace di apprendimento dove i suoi  allenatori devono essere validamente preparati sul piano pedagogico.  

Non a caso si definiscono “educatori sportivi” e non semplicemente allenatori.    L’allenatore costituisce, lo voglia o no, per l’adolescente una figura di riferimento, come per altri versi sono i familiari, gli insegnanti di scuola o il parroco, causato dal disfacimento della famiglia e della scuola!   Ritengo fondamentale sottolineare come l'età di 5/6 anni siano più incisivi ad ottenere quei fondamentali "umani" e come sia indispensabile che l’allenatore-educatore debba muoversi in una tripla logica: l’uso della comunicazione come mezzo primario del ruolo, l’interazione con gli altri soggetti educanti e, d’importanza fondamentale, il dialogo con la famiglia.  Certo, tutto questo complica non poco la vita di un allenatore. Ma il compito dello sport futuro è questo: lavorare per tutti i ragazzi, non solo quelli più dotati, aiutandoli a diventare persone mature e responsabili.  Questo che ho fino ad ora descritto può sembrare un percorso naturale, fattibile e coerente, di certo necessita di un gruppo di lavoro dove ogni cosa viene ponderata e applicata nel modo e nel tempo giusto. Per ultimo, e non a caso, sottolineo l’età del bambino a cui ci rivolgiamo 6,7 anni, poi si vedrà.    Desidero precisare che ho individuato, con sperimentazione nella pratica e a seguito di una precedente esperienza (la prima), intervenire nei quinquenni a livello puramente comportamentale, di relazione e quant'altro, argomentazione che richiederebbe molto più tempo. Ciao

R.: Riporto per intero il tuo pensiero! Condivido in grande parte queste tue affermazioni, non sono d’accordo sull’età in cui  intervenire sull’aspetto tecnico nei primi calci, momento in cui si dovrebbe insistere sulla parte coordinativa; i 5/7 anni sono ancora momenti di una fase “apostolica” anche se il termine non è appropriato, in cui non dovrebbero essere proposti percorsi predeterminati, anche se questi sono tacitamente preordinati, almeno da parte degli istruttori. Per quanto riguarda questi ultimi, secondo me, molto sbagliano per la poca conoscenza, intesa come capacità di applicazione pratica di ciò che hanno imparato (ho già ribadito più volte che il solo studio della materia non è sufficiente a fare un buon istruttore).  Essendo materia molto delicata, come sappiamo, la metodologia e la capacità di trasmettere, anche emozioni, è di fondamentale importanza, assieme al metodo da usare, che deve essere adeguato ai soggetti cui si propone.

Certo è che, prima di plasmare gli atleti, o quantomeno nello stesso tempo, c’è l'imperativo primario di formarli come "uomini" attraverso un’adeguata educazione, per il loro futuro, nella vita e nello sport.